Darix il gladiatore - 3
L’altoparlante riprese a gracchiare That’s amore, in una versione con organetto da giostra e nuovamente, aiutato da una leggera brezza, mi giunse il profumo del pop-corn e del caramello che mi fece venir voglia di mangiucchiare qualcosa di dolce.
Istintivamente portai la mano alla tasca per prendere qualche moneta ma mi accorsi che non avevo nulla con me.
“Uccio, hai due lire da prestarmi?”. Mio fratello si frugò in tasca e, con aria desolata mi rispose che non aveva soldi con sé. Fu in quel momento che mi sorse un atroce dubbio: avevamo i soldi per pagare le nostre incaute esibizioni?
Mi guardai attorno e, con sguardo muto accompagnato da piccolissimi ed inequivocabili gesti che non dovevano essere percepiti dalle ragazze, domandai ai miei compagni se avessero denaro con sé. Dalle loro facce capii che eravamo tutti a secco. L’unica speranza, a quel punto praticamente nulla, era in Santino che stava sparando a più non posso e quindi non era stato interpellato.
D’un tratto tutto il panorama cambiò: vedere il mio amico sparare non era più un divertimento, ma una vera e propria tortura e anche l’osservare il gruppo di ragazze con gli occhi sognanti che ci ammiravano era una pena, sapendo che presto l’incantesimo si sarebbe rotto in malo modo.
Pure il sorriso fin troppo allegro del giostraio che continuava ad incitarci con commenti lusinghieri, d’un tratto mi si rivelò sospetto: anche quello tra un po’ sarebbe scomparso, lasciando il posto a chissà quali invettive.
Nel frattempo Santino aveva terminato la sua esibizione e, voltatosi verso le astanti che applaudivano, si inchinava come fanno gli attori davanti al pubblico adorante. “Pss… pss…” cercai di catturare la sua attenzione e, senza farmi notare, sfregando il pollice con l’indice gli feci il classico gesto dei soldi, seguito da quello altrettanto eloquente, sempre con il pollice e l’indice che in questo caso ruotavano, che soldi non ce n’erano. D’un tratto il suo sorriso si spense, segno chiarissimo che anche lui era venuto senza soldi.
Ora la situazione si stava facendo veramente imbarazzante e, come capo del gruppo, spettava a me il compito di sbrogliarla in qualche modo.
Mi avvicinai all’uomo sorridente con la giacca a scacchi e la paglietta sulle ventitré e gli feci cenno che volevo parlargli in privato. Continuò a sorridere, ma capii subito che il suo ora era un sorriso freddo, di circostanza esibita.
“Abbiamo un problema…” riuscii a dire, cercando di mantenere una certa dignità.
“Quale problema?” replicò l’uomo, perdendo di colpo ogni cenno di allegria.
“N… non possiamo pagare! È imbarazzante, lo so, ma purtroppo è questa la verità.”
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