Infanzia, carriera e avventure di Giorgio Paternò, Veneziano di Sicilia

L’uomo che si legò alla colonna

Darix il gladiatore - 1



«In città era arrivato il circo e per tutti era un avvenimento, ma in quel caso non si parlava di un circo qualunque: si trattava nientemeno che del Circo Togni, e questo era un evento ancora più unico.

Noi eravamo alla fine del Liceo e, come è tipico di quell’età, volevamo divertirci e non perdevamo occasione per farlo. Decidemmo quindi di andare, in un sabato pomeriggio, a vedere cosa succedeva attorno al circo, magari sperando di racimolare qualche biglietto omaggio per lo spettacolo. Oggi i circhi sono un po’ in declino, quasi uccisi dalla spietata concorrenza della televisione e delle ore passate dai giovani sui social network, ma all’epoca erano uno spettacolo importante al quale partecipava gente di ogni età e classe sociale. L’arrivo di un circo era, come ho detto, un avvenimento anche perché attorno ad esso si creava una vera e propria cittadella del divertimento, con baracconi nei quali si assisteva a spettacolini vari, la visita allo zoo - all’epoca gli animali erano il pezzo forte dello spettacolo - e un mucchio di baracchini con dolciumi, lotterie e tiri a segno. E fu proprio il tiro a segno che catturò la nostra attenzione di masculi: aggirandoci da quelle parti, infatti, avevamo incontrato un gruppo di ragazze, cosa abbastanza rara quella, vista la mentalità che vigeva all’epoca a Messina e un po’ in tutta la Sicilia. Proprio essendo in gruppo, e quindi controllandosi l’un l’altra, quelle ragazze avevano probabilmente avuto il permesso di uscire. Chiaramente, come giovani ragazzi belli e aitanti cercammo di fare colpo, mostrando la nostra bravura al tiro a segno, anche incoraggiati dall’uomo con l’improbabile giacca a quadri gialli e verdi e la paglietta in testa posta sulle ventitré che, con la voce possente di chi è allenato a gridare, ci incitava: “Forza, ragazzi! Fate vedere a queste belle fanciulle quanto siete bravi! Se colpite venti centri avrete un regalo. Venite e sparate, non abbiate paura, non siate codardi!”. Forse fu proprio quell’ultima frase, “non siate codardi”, che fece pendere la bilancia tra il non partecipare ed il partecipare. Con un’aria di sfida degna di un John Wayne, ci avvicinammo al bancone, sempre gettando uno sguardo con la coda dell’occhio al gruppo di ragazze che, con qualche risolino, se ne stava un po’ appartato ad assistere allo spettacolo. Tanto per cambiare, e forse l’avrai capito, io ero un po’ il capo della combriccola pur non essendo il più anziano e, come tale, avevo il diritto a sparare per primo. Con fare sapiente presi in mano il fucile ad aria compressa e lo soppesai, amplificando ogni gesto come avevo visto fare al cinema nei film western dei quali ero, e sono ancora, un grande appassionato. Sapevo che tutta quella scena non aveva alcun motivo ai fini pratici, ma sapevo altrettanto bene che sarebbe stato un ottimo preludio all’esibizione e che sarebbe servita egregiamente ad attrarre l’attenzione delle ragazze. Io ai fucili, grazie alla passione per la caccia di mio padre, ci sono stato sempre avvezzo e, dotato grazie a Dio di una buona vista e da un’altrettanto buona mano ferma, avevo, e ho tuttora, un’ottima mira.

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